Scuola di garanzia

Ivan Zazzaroni
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Perché, in fondo, gli italiani lo fanno meglio. Seguitemi. Il superleghista Florentino Perez, detto “Arrogancia”, costretto a sostituire il dimissionario Zidane, formatosi all’Università Marcello Lippi di Torino, chiama Allegri: e non è la prima volta. Max lo porta a un passo dalla firma (contratto praticamente chiuso) ma all’ultimo non se la sente di trasferirsi a Madrid e rientra di corsa a casa Agnelli, rinunciando a tre milioni nei primi due anni e a clausole di protezione. Scartati Raùl e Pochettino, il presidente del Real decide di orientarsi sull’usato sicuro e vincente. Naturalmente italiano: Carlo Ancelotti, el rey de la Dècima, una garanzia assoluta, se il materiale è di livello. Daniel Levy, esonerato Mourinho, colpevole di essersi rifiutato di ricorrere a un turnover massiccio a sei giorni dalla finale di coppa di Lega col City, dopo settimane di riflessioni e imbarazzi conclude che la coppia Paratici-Conte è proprio giusta per il Tottenham. Potrei aggiungere all’elenco dell’orgoglio covercianese il 42enne Roberto De Zerbi, esponente della nostra nouvelle vague, al quale si è rivolto il ricchissimo Rinat Akhmétov, più che mai deciso a rilanciare in Europa lo Shakhtar.

Se è vero, com’è vero, che la scuola più trendy del momento è quella tedesca, rappresentata da Tuchel, Klopp, Flick, Nagelsmann, Rose e Tedesco, quest’ultimo di origini calabresi, lo è altrettanto che la vecchia panchineria italiana raramente sbaglia quando esce dai confini nazionali (non dimentico Claudio Ranieri e Fabio Capello). Riflessioni filosofiche a parte, solo De Zerbi va all’estero per completare il suo percorso di crescita professionale e culturale; gli altri inseguono i due traguardi più importanti, vittorie prestigiose e soldi; premesso che un bell’ingaggio in Europa te lo danno prima di vincere (a volte anche se perdi) tutti quelli che ho nominato ci hanno fatto fare spesso bella figura, mentre in Italia trovano spazi ridotti, assillati da dirigenti che non sapendo risolvere i problemi fanno arrossire i bilanci. Germania, Inghilterra e Spagna non sono guidate solo da presidenti straricchi, ma da manager esperti. Che, nella difficoltà, scelgono italiano.


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